Unique
2021
Fiori, lamiera traforata, ferro, gelatine
"Le opere di Giulio Bensasson hanno l’odore delicato di un fiore e il retrogusto amaro del disincanto. Impalcature graziose e ingannevoli, catturano l’attenzione con le loro cromie scintillanti e i loro messaggi apparentemente rassicuranti, per poi farci sputare il boccone appena ingoiato. È il caso di Unique, installazione che l’artista presenta in un luogo inconsueto – e insieme perfetto a ospitarla – come la stazione ferroviaria Lancetti, a Milano.
Qua, all’interno di una vecchia guardiola, Bensasson ha realizzato una scritta interamente composta da fiori recisi: YOU ARE THE ONLY ONE, così recitano lettere e parole messe in sequenza una dopo l’altra. Uno slogan da gestore di telefonia mobile o da prodotti cosmetici; una promessa di unicità falsa come solo sanno essere le pubblicità. E in effetti, a guardare l’installazione, colpisce la sua bidimensionalità, quasi da cartellone pubblicitario. L’opera si manifesta nella sua frontalità; è possibile girarvi attorno, ma dietro la scritta non c’è altro che la tetra impalcatura di una facciata che si dichiara perfetta e inimitabile.
Le bugie, tuttavia, hanno le gambe corte. I fiori che formano la frase sono destinati ad appassire nel giro di qualche giorno, come se l’opera avesse una data di scadenza capace di contraddire la promessa di felicità che esibisce. Il romanticismo a basso costo della scritta si capovolge nel suo contrario; la ruffianeria sloganistica lascia spazio alla riflessione sul passaggio del tempo, sulla fine delle cose.
Unique è un’esemplare vanitas contemporanea. Nel concepirla, Bensasson, ha impiegato due elementi principali: i fiori e la scrittura. Poche cose sono effimere come un fiore: emblema di grazia, certo, ma di una grazia destinata ad appassire, a consumarsi. I fiori sono espressione massima di bellezza e, insieme, di morte (anche per questo sono stati largamente rappresentati nella storia dell’arte): un dono che celebra grandi eventi e suggella amori, ma anche un omaggio ai defunti. Ogni festa effimera se ne serve, quasi a ricordarci che la spensieratezza, oltre a essere momentanea, contiene già in sé la malinconia per la sua fine. Anche la parola scritta ha una lunga relazione con l’arte visiva: all’inizio del Novecento, lettere sparse e testi hanno dato vita a collage memorabili, senza dimenticare le opere ascrivibili alla cosiddetta “poesia concreta” o quelle realizzate da grandi individualità artistiche come Emilio Isgrò. Ma Bensasson va oltre: come altri autori che hanno guardato alla comunicazione di massa (due nomi: Barbara Kruger e Jenny Holzer), l’artista trova ispirazione nei cartelloni pubblicitari, nelle scritte sui muri, nei testi di canzoni melense e in tutte quelle irresistibili forme di seduzione che assediano quotidianamente la vita contemporanea.
Unique è un’opera animata da tensioni contrapposte e, dunque, ambigua. Ad alimentare questo contrasto, c’è anche un altro aspetto formale. La scritta, apparentemente, ha una sua fissità, presentandosi immobile e centrale agli occhi dell’osservatore; e anche il testo, YOU ARE THE ONLY ONE, rimanda a qualcosa di immutabile e apodittico. In realtà Unique si nutre del tempo che passa, rivelando il proprio senso giorno dopo giorno. Paradossalmente condivide qualcosa con i video, e più precisamente il movimento e la durata: un timelapse immaginario, ottenuto da una telecamera piazzata di fronte all’opera, ne mostrerebbe il carattere processuale, la ritrazione dei petali, il cambio di colore, il letterale sfiorire. Per essere pienamente compresa, Unique andrebbe vista ogni due o tre giorni.
L’ambientazione, da questo punto di vista, non poteva essere migliore. Quanti slogan del tutto simili a YOU ARE THE ONLY ONE campeggiano nelle stazioni e nelle metro dei centri urbani? Da una parte, Unique si mimetizza, e dall’altra reclama un’attenzione particolare, data la sua costituzione del tutto differente da quella di un classico manifesto pubblicitario. La stazione Lancetti, inoltre, è luogo di passaggio per antonomasia – incrocio di precipitazioni, fugacità, impazienze. A chi si rivolge l’opera di Bensasson? Probabilmente a nessuno, dando tuttavia l’illusione di indicare tutti i passanti che la incroceranno con il loro sguardo. È qua che l’intervento dell’artista palesa la propria cinica ironia, il suo essere sfondo ideale per selfie fallimentari."
"Sfondo ideale per selfie fallimentari", testo di Saverio Verini